Una bambina ferita allo Shifa Ospital di Gaza City il 27 dicembre 2008.
È vero che ci si abitua a tutto. Non solo alle cose normali, di tutti i giorni, ma anche alle grandi gioie e alle grandi disperazioni.
Così è da qualche giorno ormai che leggiamo sui giornali le parole "guerra", "violenza", "terrore"; le parole "assedio", "combattimento", "feriti"; perfino la parola "morti", senza che esse siano più capaci di muovere qualcosa, di c'entrare con noi, di rompere la lontananza che ci separa da Gaza, Rafah, Erez, e ora anche Khan Younis.
Lunghi articoli, sottili analisi geopolitiche, dichiarazioni pro Israeliani o pro Palestinesi scritte dalle redazioni europee e americane difficilmente toccano il punto, riuscendo quasi mai a raccontare una realtà molto più grande e complessa. Poche le eccezioni (qui Galli Della Loggia sul Corriere del 3 gennaio, qui la bella lettera di chi in Terra Santa ci vive sul Sussidiario.net).
Di più fanno le fotografie. Non quelle bruttine e convenzionali che pubblicano i nostri giornali, ma straordinarie come queste (che si trovano su siti come Boston.com o sul WallStreetPhotojournal).
Perché se lo vedi partire forse capisci che cos'è un missile Qassam. Se lo guardi sparare forse ti rendi conto di chi è un guerrigliero di Hamas. Se la scorgi piangere sulla bara del figlio, intuisci almeno un poco del dolore infinito di una madre. Se riesci a fissare il volto di un bambino che ha appena perso tutto e la vita se la tiene stretta nelle mani piene di sangue, forse ti rendi conto di che cos'è la guerra.
martedì, gennaio 6
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5 commenti:
sono le prime foto di guerra che vedi?
McCandless
PS hai mai provato soltanto a mercanteggiare con un musulmano o con un ebreo. Ti si aprirebbe un mondo. Avresti un indizio interessante sulla difficoltà nel far "dialogare" quei due popoli.
Piantala con il catto-pietismo!
Di guerra ho visto moltissime foto, come tutti, e dunque non ho visto niente, non so niente. Il tentativo di usarle per falsificare le cose, dallo scatto "Loyalist Militiaman at the Moment of Death” (5 settembre 1936) di Robert Capa in poi è abitudine comune.
Non so se tu sei un navigato veterano di guerra, per cui noialtri siamo tutti signorine, però mi pare che queste immagini scavino un po' più a fondo di quelle che pubblica il Corriere con il fumo delle case inquadrato da lontano. Mi pare abbiano il coraggio di guardare in faccia, da molto vicino, chi soffre per davvero, e dei nostri discorsi pacifisti o guerrafondai non sa che farsene. Mi colpisce la lontananza che possiamo avere da quel che sta succedendo, le nostre reazioni così convenzionali (anche quando sarebbero di pietà). Invece di avvertire la morte di ogni bambino come fosse il proprio nipote, di ogni uomo come nostro fratello.
Hamas continua a lanciare i suoi missili.
Hamas non si arrenderà mai, per statuto!
Hamas si nasconde in mezzo alla gente.
La maggioranza dei palestinesi appoggiano Hamas.
Israele si è rotto i coglioni.
Punto.
Liberissimo di "avvertire la morte di ogni bambino come fosse il prorio"...ma NON è così.
Se sei sincero NON è così.
McCandless
PS se vuoi scavare a fondo, devi cominciare a lavorare, dedicare tempo all'obiettivo di capire. Parti pure da quello che hai visto e che ti ha interrogato, ma se molli e non vai a fondo, avrai pianto "come una prefica dei romani".
Le spiegazioni in cinque punti non mi hanno mai convinto. Tra l'uno e l'altro resta sempre fuori qualcosa.
Molto meglio invece il PS, grazie e bentornato McCandless!
Ero in ferie nei Territori dello Yukon.
Trovare un passaggio per Fairbanks è stato difficile ;)
McKandless
NdA: Quasi una citazione :)
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