domenica, gennaio 11

"Passio, Laetitiae et Felicitatis"

Un testo davvero fortissimo, questo di Testori, sulla storia delle "peccatrici sante" Felicita e Letizia.

È il linguaggio a colpire più di tutto nella rappresentazione (al "Teatro i" fino al 18 gennaio): parole come "luccicore", "tuttità", "crocefississimo", e tante altre, ti rimangono impresse. (Il testo completo si trova nel secondo volume dell'opera omnia).
Sono gli anni in cui consegnava al teatro la "Trilogia degli scarrozzanti" («Ambleto», «Macbetto» ed «Edipus») e la novità di una lingua fascinosa, barocchissima, gonfia di latinismi e di dialettalismi lombardi: forse l’evento più significativo del Novecento insieme a Gadda.

Come poi questo sia lo stesso Testori che amava la tenerezza di Gaudenzio Ferrari, è per certi versi un mistero. Anche se ha ragione Giuseppe che la sua è "una tenerezza reale proprio perché non censura niente,
un atto di adorazione verso la carne come cosa creata". "Una venerazione del corpo come creatura", mi appuntavo durante le descrizioni dei corpi del giovane ragazzo e delle due donne, che è il contrario della pornografia... C'è uno stupore, uno sguardo meravigliato che poi viene fuori nella scrittura. Un sentimento rivolto totalmente verso l'altro e non invece in fondo autoreferenziale com'è inteso oggi il rapporto sessuale...
Probabilmente sono proprio questi vertiginosi chiaroscuri a tracciarne i percorsi della mente e del cuore. Ci si prova a stargli dietro, ma forse basta riconoscere che per noi è lo stesso, con la sola aggravante che siamo più moderati e più tiepidi "nel vizio e nella virtù".

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