lunedì, gennaio 14

Cari professori, tornate a scuola

Sono sessantasette.
Ordinari, emeriti, associati, a contratto.
Tutti illuminati, sicuramente. Tutti scienziati, scientifici, razionali, naturalmente.
Ma, ignoranti.

I professori della Sapienza che, "in nome della laicità della scienza e della cultura e nel rispetto di questo nostro Ateneo..." eccetera eccettera, e giù a sottoscrivere la lettera di Cini, e giù a scandalizzarsi, stracciarsi le vesti, salvare il Paese dall'oscurantismo e ricondurlo sulla strada della modernità, farebbero meglio a ritornare sui banchi (di una buona scuola però).
Già, perché, da bravi intellettuali, nonostante le lauree, i master, i seminari, e via dicendo, non solo hanno commesso la leggerezza che un vero scienziato non si perdonerebbe mai, fidarsi di un luogo comune, abbracciare l'opinione condivisa, il già detto, il già sentito, senza - ahimé - la verifica della ragione. Ma, ben più banalmente, non sanno nemmeno copiare.
Così, nel loro sottoscrivere, si allargano, completano, aggiungono, e si rifanno - sono sempre molto al passo coi tempi, loro - al nome che più di tutti è diventato lo stereotipo del conflitto tra fede e ragione, tra Chiesa e progresso: Galileo Galilei.
Peccato che lo sia diventato nell'immaginario collettivo, nel grande pensiero comune, nel cervello che gli italiani per la maggior parte affittano al potere.
Peccato, soprattutto, che il Papa non abbia mai pronunciato quelle parole! I docenti della Sapienza - anche se forse non è il caso di chiamarla così - gli hanno infatti attribuito un “rilancio” delle affermazioni di un filosofo, Feyerabend, sul caso Galileo, secondo le quali in occasione del processo allo scienziato la Chiesa rimase più attaccata alla ragione dell’imputato. Questi dotti accademici e sapienti, si sono evidentemente - e poco scientificamente - fidati di Wikipedia ma non hanno controllato sul testo originale, tra l'altro disponibile per la consultazione. Si sarebbero accorti che hanno preso un abbaglio non da poco perché Ratzinger non faceva affatto sue le parole del filosofo (cfr. La crisi della fede nella scienza tratto da Svolta per l'Europa? Chiesa e modernità nell'Europa dei rivolgimenti, Paoline, Roma 1992, pp. 76-79.).

Per chi fosse interessato, legga qui le vere parole di Ratzinger su Galileo.

Intanto noi, meno illuminati, meno intellettuali, meno rigorosamente scientifici, ma forse anche un filo meno ideologici dei "sapienti", abbiamo trovato, grazie a un amico tedesco che a sua volta lo deve a un amico olandese (terra riformata, ma feconda), anche questo prezioso brano di Vittorio Messori proprio su Galileo, tratto dal suo Pensare la storia.
Vivamente consigliato agli autenticamente curiosi e, com'è ovvio, ai colpevolmente ignoranti.

«Stando a un'inchiesta dei Consiglio d'Europa tra gli studenti di scienze in tutti i Paesi della Comunità, quasi il 30 per cento è convinto che Galileo Galilei sia stato arso vivo dalla Chiesa sul rogo. La quasi totalità (il 97 per cento) è comunque convinta che sia stato sottoposto a tortura. Coloro - non molti, in verità - che sono in grado di dire qualcosa di più sullo scienziato pisano, ricordano, come frase "sicuramente storica", un suo "Eppur si muove!", fieramente lanciato in faccia, dopo la lettura della sentenza, agli inquisitori convinti di fermare il moto della Terra con gli anatemi teologici. Quegli studenti sarebbero sorpresi se qualcuno dicesse loro che siamo, qui, nella fortunata situazione di poter datare esattamente almeno quest'ultimo falso: la "frase storica" fu inventata a Londra, nel 1757, da quel brillante quanto spesso inattendibile giornalista che fu Giuseppe Baretti».

Leggi qui il testo completo.

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