martedì, febbraio 10

Dire parole vere

Ieri sera ero tra quanti hanno assistito alla prima milanese di "Passare la mano delicatamente", monologo in versi scritto da Davide Rondoni sulla vicenda di Eluana.
Quando la notizia della sua morte è arrivata mi sono chiesto che senso avesse ormai quello spettacolo. Stavo per andarmene, ma poi ho deciso di restare.
Mentre lo guardavo ho capito che forse l'unica cosa che possiamo fare in una circostanza del genere è dire la verità, e queste sono parole vere che servono a combattere la battaglia della vita contro la morte che è la menzogna.
"Il primo modo di amare gli uomini è dire la verità", scriveva Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte. Dire la verità è una forma di carità anche verso tutte quelle persone che in questi giorni professano la menzogna ed è insieme alla preghiera
un altro modo per onorare la nostra amica.



È lei, che senza fare niente, ha attirato tutta questa gente.
Che strano il gran movimento si è creato
intorno a una che è immobile, e nella sua ombra
giace. Di cosa la sua nuda presenza
è stata capace.
Dicono: è finita. Dicono: non ha vera
vita.
Io non so, sono solo
un uomo delle pulizie. Ma se non è vita
cosa è
questa presenza che tanto movimenta, inquieta,
tormenta ? Lei
sta là nella stanza che la separa.
se non è vita cosa è
che avviene tra quei muri ?

(…)

E passare il panno
per la polvere e poi, delicatamente
la mano, per accompagnare
il giro dei pianeti intorno al grido del sole…

(…)

Ma quando ho visto che un giornale
ha messo la sua foto e ha scritto che ora è libera,
libera di morire,
sono andato su, con il magone,
a guardarla dormire.
Per lei viene notte e giorno, estate
e inverno, e ai medici
ho sentito dire
che sulla profonda attività cerebrale
non abbiamo ancora le idee chiare.
Forse fioriscono rose
misteriose nel suo cervello, e immagini
che a noi sfuggono, radiose.

Avrei voluto prenderlo in braccio
povero corpo abbandonato dal mondo,
portarlo, in giardino.
O al mare. Farle
sentire, se ancora lo sente, il mare
e tenerlo così,
in braccio tra le onde, dicendo al suo viso
silenzioso:
non avere paura, non ti lascio andare.

(…)

E però io non capisco, io qui mentre la polvere
dei giorni e dei pensieri pulisco,
e forse per questo sto troppo attaccato a terra
e mi viene da chiamare le cose
con nomi soliti, normali, con lo sfarzo
dei nomi quotidiani, rose
le rose e viole le viole di marzo,
bacio il bacio, guerra
la guerra, e cagna la morte, e vita
la vita, io mi chiedo perché
non la lasciate qui, che fastidio
vi dà ? non la vedete, è là
nel suo silenzio infinito, respira…

(...)

Oh misteriosità infinita
dell’esistenza umana…
se anche finissero di stupirci le stelle
ecco che stupisce la mente
davanti al mistero delle nostre medesime
particelle…

(…)

Non dicono “marcire”. Non chiamano,
stranamente, la morte con il suo nome,
con il suo volto orrendo. Dicono:
riposare. Come fossero diventati tutti
preti. O come se il niente
fosse più desiderabile dell’ultimo
filo di vita.
Dicono: lasciamola andare.
Ma non dicono dove. Non dicono le parole
crude: a morire. Non dicono:
le togliamo il respiro. Non dicono: disidratazione.

(…)

Non dicono: a marcire.
Parlano della morte occultandola.
La evocano, ma tacendola.
Non chiamano con il suo nome la matta
falciatrice di vita, la sfatta
baciatrice di tutti.
La rendono astratta.

(…)

È strano è duro questo pensiero
che oppone alla vita non più
il volto smangiato della morte
ma la sofferenza.
Come se dove fossi tu
dolore,
non potesse
esserci più
dignità di vita.
Fino a preferire
di baciare il volto
della morte, il nero.
Ma non era il dottore
qualcuno a cui aggrapparsi nelle ore
più estreme ?

(…)

Non è solo biologia la vita, ma pensiero
volontà. Quando sono sotto la soglia della dignità
dice il filosofo
si stacchi il sondino
si lasci, se lo chiede, crepare.
Ma chi deciderà, signor filosofo
cosa è sopra o sotto la linea
della dignità ? Lei, coi suoi
ragionamenti
e non ci sarà più necessaria la pietà ?

È come se volessero tutti evitare
di sentire il magone. E di posare
il passo del proprio civile ragionare
su di lei, l’antica fraternità umana, sulla pietà.
Ma chi deciderà a che punto sarai da buttare.
Tu, nel pieno del dolore ?
Sai, filosofo, quanti si butterebbero via in questo
istante, se non li tenesse in vita
la pietà degli altri, la pietà
che sola, ultima, fa riscoprire
la dignità ?

(…)

Lavorano sulle parole, diceva il poeta
che prese la via dell’esilio dall’inferno.
Han lavorato sulla parola figlio.
E poi sulla parola madre, sulla parola
padre.
Le hanno violate, offese, e infine
camuffate, fatte sparire.
Poiché la realtà è più forte
si sono accaniti allora sulle parole.
Sulla parola: figlio, sulla parola: madre,
sulla parola matrice
di tutte le parole: vita e sulla parola che
orienta e disorienta le altre parole:
la parola morte.
Sulle parole che sono come le bambine
che ci prendono per mano per condurci
alla realtà.
Le hanno confuse, le hanno bendate,
le hanno fatte girare su se stesse,
le hanno drogate.
Perché non conducessero
più da nessuna parte.
E rimanessero sospese, infelici,
la parola figlio, la parola morte,
ormai incapaci
di dire qualcosa,
e la parola morire, e la parola io ti amo,
accetta questa rosa…

Il tiranno non muove più le corazzate,
e non ha bisogno delle occhiute
polizie. Muove, paga intellettuali
dalle menti lucide, parolai
che svuotano le parole, il tiranno
muove gente d’immagine e senza
anima che convinca
che tutto è solo apparenza.

Il tiranno divora le parole dentro di noi
per poter divorare la terra
intorno a noi.

Lavorano sulle parole
non solo per coprire il fatto
ma anche per deviare l’emozione.

Non la chiamano esecuzione.

E l’amore è diventata un’idea,
invece che la paziente, la segretamente
festosa comunicazione reale e la reale
custodia della vita,
l’amore è diventata un’idea sentimentale –

e così si può uccidere in nome delle idee,
delle idee buone, si è ucciso,
si uccide, si ucciderà
in nome delle idee piene di bontà…

E si può deviare l’emozione
non piangendo per la morte
ma gioendo per la liberazione…

(…)

Tolgono vita alla vita
prima attraverso le parole,
tolgono il senso, il sale alle parole
poi a lei tolgono l’acqua, il pane

e spengono il sole…

(…)

Ma se si fosse mossa, anche solo alzata
un istante in piedi nel letto,
se si fosse mostrata
più viva, l’avreste condannata ?
E’ la sua debolezza a condannarla…
Avete mosso tutta la potenza
dei giornali, del pensiero dominante,
dei tribunali
tutta la potenza della deviazione
di un sentimento,
tutto il duro portento
di una campagna per la sua morte
contro la sua debolezza…
Invece di avere pietà, che è la parola
più felice, più colorata
di ogni sentimento, di ogni
attenzione, invece
di sostenerle
il capo, di darle da bere…

(…)

Ma chiedo e supplico chi, che cosa
decide quanto vale
quel rimasuglio,
quel minimo giglio
di vita ?

È niente ?
È davvero niente ?

Voi che giustamente non condannate a morire
nemmeno il più animalesco criminale,
colui la cui vita
è annerita dal più fosco e sanguinoso male,
e chiamate vita da preservare
anche quella di chi ha stuprato e ucciso donne
e bambini, e onorate
negli assassini
il loro rotto ventaglio
di dignità coperta di ombre
non volete onorare il rimasuglio, il timidissimo
giglio
di vita che è in lei ?

(…)

Ma chi sei, vita e cosa
è il tuo germinare ?

ti conoscerò, bambina, per i movimenti che susciti,
per gli assalti degli eserciti,
il brillare tra i rami dell’oro dei limoni ?
o per la solitudine
degli stormi che volano e creano
i disegni che ti divertono in cielo, sulle lontane
rose ?

Tutti parlano di te, ragazza
discreta, e dicono di sapere
cosa sei e quale sia
la tua giustizia…Io
non saprei, vedo solo
che ti sleghi i capelli
e osservi stupita, in una oscura
letizia
la nostra naturale voglia di sperare…

(…)

Come dire che tutto è uguale,
vivere o morire, poter scegliere è bene
non poter scegliere è male.
Io ci capisco niente…So
che molte cose nella vita
non le ho scelte, e sono state un bene.
E altre che pur ho scelto
sono state un male.
Non dico solo alle elezioni…

Quando viene un amore, a volte
un figlio, o il vino che ti è offerto,
non lo scegli, ma ti ride nelle vene.

(…)

Il totem, lo spettrale dio
dell’autodeterminazione è l’idolo
più falso che ci sia. Più astratto,
e inutile di fatto.
Non ci autodeterminiamo in quasi niente
-nemmeno nel colore degli occhi
o se passare o no al semaforo
se avere o no un cuore matto-
e vogliono farci credere che valga per nascere
e morire.

È duro stare nella tua stanza.
Come stare su un precipizio immenso.
Ci vuole senso dell’equilibrio
e anche il senso dell’immensità.

Potessi muoverei leggermente la mano
toglierei il velo
silenzioso, leggerei i segni
del respiro, e:
se si potesse sentire il mare.
O forse se ascolto lo sento, sale
nel chiarore dei monitor accesi un riflesso
di luce di fondale,
e nei ronzii medicali
si accordano i perpetui sciacquii
tra gli scogli o nei porto, tra gli scafi navali…
c’è un mare qui, e ti vorrei sollevare
sulle onde, tenerti in braccio, e farci
insieme cullare.

È delirio o forse è l’unica visione
vitale?

(…)

Non siamo soli, sai, piccola, vedo
altri, come in azzurre pietà marine,
inoltràti nell’oceano, tra le schiume bianche
dell’onda, come padri
e madri tenendo i loro figli
i loro amati feriti, tenendoli
per le braccia e per gli occhi
non lasciandoli
all’acqua se non quando il mare
sale e decide di prenderli nel suo grande
abbracciare…

Stiamo qui, mia piccola santa
della stanza numero…
se ora finalmente taccio
tra queste pareti che si fanno strana
raccolta conchiglia
si sentirà la sua voce –
viene a rompere il ghiaccio
che circonda le nostre menti e il cuore,

così vasto e pieno di echi
qui, sì, il mare…



Leggi il testo completo di "Passare la mano delicatamente".

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