
Ma i tagli non devono essere indiscriminati. I tagli non possono colpire quei settori che sono la risorsa per lo sviluppo del Paese. Come l'università, che ancora una volta - non c'è governo che tenga - paga lo scotto più alto. Perché 415 milioni di euro in meno da qui al 2013 e un ricambio di personale del 20% (su 5 pensionamenti, un solo nuovo impiego) significano il collasso del sistema.
Mi sembra il segno di una politica di corto respiro, incapace di riconoscere dove occorra investire per l'interesse comune. Che cosa può servire risanare i conti - ammesso che questo risultato si raggiunga - e trovarsi tra qualche anno con un sistema universitario bloccato e impossibilitato a portare il suo contributo - ricerca, laureati di qualità, idee - alla crescita del Paese?
Che un Paese come l'Italia, con la sua storia, la sua cultura e tradizione, commetta un'ingenuità simile, dovrebbe almeno destare attenzione. Che i nostri governanti non si accorgano che chi viaggia più forte nel mondo - Usa, India, Cina - attui, nel merito, politiche di segno opposto, dovrebbe suscitare almeno curiosità. Che questi tagli colpiscano indifferentemente tutti gli atenei, senza distinzioni di qualità della didattica e risultati della ricerca, dovrebbe almeno scandalizzare.
Quando qualcuno punterà su di noi?
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